Public Domain Resource è un nome non ancora molto noto e rappresenta un duo italiano – per la precisione di Bergamo – formatosi l’anno scorso, che ambisce a farsi conoscere nel panorama synth-pop/electro nostrano e non.
Ugo Crescini e Pietro Oliveri avevano comunque esperienze pregresse in ambito musicale risalenti fino agli anni ’80: questo spiega le influenze wave ed anche il fatto che, dopo soltanto un paio di singoli, siano riusciti ad attirare l’attenzione firmando per la Space Race Records.
Dead Surface è il loro primo full-length, prodotto da Rob Early della band americana Retrogramme. La proposta dei Public Domain Resource non è nuovissima ma forse neanche si prefigge di esserlo: la tradizione alle loro spalle è ormai molto consistente e a questa tradizione essi si mostrano sensibili producendo un’elettronica piacevole, per quanto non di troppo impegno, ed adatta al dancefloor.
Apre “Ideals”, gradevole esempio di synthpop dal ritmo incisivo e sostenuto che va poi a diluirsi nella seguente “Red Lines”: questa rallenta appena ma disegna un’atmosfera tesa grazie anche al canto dal timbro ‘robotico’. “Under The Ground” sconfina nell’EBM ma sempre con una certa austerità, mentre la title track, fra la tastiera scoppiettante e le tonalità ‘artificiali’ della voce, si candida a hit ballabile. “Fiat Lux”, dal ritmo sobrio e la struttura lineare, sembra riprendere sonorità un po’ vintage vicine allo stile dei ‘santi protettori’ Depeche Mode e “Negative Fields” arricchisce il contesto ‘sintetico’ ancora con variazioni di voci ‘robotiche’ o altre registrate. Cito infine “Mishima San”, uno degli episodi migliori e più originali.
Dead Surface rappresenta dunque una buona base di partenza per ‘decollare’ alla ricerca di soluzioni più libere e personali.