Cambia decisamente pelle, il progetto Noise Trade Company. Fortemente voluto da Gianluca Becuzzi, vero e proprio deus ex machina della formazione post-Limbo e rifugio ove sfogare le pulsioni più latamente rock, Noise Trade Company si è sviluppato lungo tre album (Crash Test One, Just Consumers e Post Post Post) in cui sviscerava le coordinate di un “electro harsh-pop per la civiltà dei consumi terminali”. Col passar del tempo NTC si è man mano mosso verso lande meno ruvide e synth-wave oriented, per approdare ora, con questo quarto passo, a rivoluzionarle dal di dentro.
Due cover poste programmaticamente al centro delle dieci tracce del disco sono più di un indizio, tanta e tale è la forza con cui vengono ripensate dal duo Gianluca Becuzzi/Elena De Angeli (in questa uscita ormai trio, con supporto di Fabrizio Biscontri a chitarra e basso): la prima è Ice, monolite Scorniano tratto dal capolavoro della prima incarnazione del duo Bullen/Harris (Vae Solis, anno di grazia 1992) e reso liquido e haunted alla maniera del dub più oscuro e sensuale, con un Becuzzi luciferino alla voce. L’altra è Evening, trasposizione della omonima traccia con cui Christa Paffgen aka Nico concludeva, nel 1968, l’album The Marble Index e che da nenia folk ancestrale e pagana si trasforma in algida resa, se possibile ancor più opprimente dell’originale.
Due prove magistrali che indirizzano il lavoro verso nuove, e per certi versi inedite, vie di fuga per il progetto NTC; vie di fuga avvalorate dalla conformazione speculare dell’album, con due lunghe suite gemelle che aprono (Fate) e chiudono (Truth) il lavoro in nome di una sorta di ritorno ad atmosfere ossianiche e criptiche (quasi) alla Limbo, o dai vari rimandi/trasfigurazioni di sonorità primigenie dell’epopea wave – l’introspettivo travisamento à la Joy Division di Orchid – sempre trattate sotto la lente di un’elettronica insieme robotica e umana, a battuta lenta, dubbosa ma anche dubbiosa e scivolosa, sensuale come l’oscurità e sempre pervasa da una latente sensazione di paganesimo (ir)rituale (si veda Fall, sorta di chiesastico trip-hop o l’assenza esoterico-rumorista di Endless e Seven, altra coppia di questo album dicotomico).
Reformation mantiene dunque fede al proprio titolo: minutaggio lungo, coesione di fondo invidiabile, atmosfere dilatate, meno immediate ma non per questo meno grigie ed evocative con cui ammantare il sostrato wavey cui il progetto fa riferimento. E ci dice inoltre di uno spirito mai domo e sempre pronto a ripensarsi e rimettersi in gioco.
Chapeau.